mercoledì 28 febbraio 2007

Controprogrammazione - 2a Serata

Sono ancora in anticipo, ma temo di non fare in tempo a completare la controprogrammazione delle 5 serate! Ad ogni modo per la serata di Mercoledì 28 abbandonerei momentaneamente il mondo indie-rock e mi butterei su un paio di ascolti alternativi seppur pregni di suggestioni notturne e profondamente evocativi nei loro rispettivi generi d'appartenenza, che sono poi piuttosto indefinibili per in-definizione.

Cyann & Ben - Sweet Beliefs

Release Date: October 26, 2006
Label: Ever Records
ASIN: B000H0MGZK

1. Words
2. Sunny Morning
3. Sweet Beliefs
4. In Union With
5. Guilty
6. Recurring
7. Let It Play
8. Somewhere In The Light Of Time
9. Sparks Of Love

Vi siete mai trovati sotto un plumbeo cielo grigio in equilibrio precario su una scogliera mentre le onde si infrangono minacciose pochi centimetri sotto i vostri instabili piedini? Oppure siete mai rimasti sdraiati di notte in mezzo al mare ad attendere con gli occhi chiusi il fragore dell'onda che si abbatte minacciosa su una barca a motore spento? No? Beh allora non potete dire di aver vissuto veramente, ma fortunatamente esiste un'altra opzione che surroga tutto ciò: l'ascolto di questo disco, peraltro uno dei miei preferiti in assoluto fra quelli pubblicati lo scorso anno. Cyann & Ben, sono un quartetto francese che produce esperienze emotive più che albums. Potremmo arruolarli nella rediviva schiera post-rock, o tra quello sparuto gruppo di musicisti visionari che alimenta il genere dream-pop, oppure infine nel calderone polimorfo e residuale dell'experimental, ma sarebbe comunque una scelta incompleta: le esperienze emotive non si possono inscatolare dentro una definizione di genere. 'Sweet Beliefs' è un disco che riflette un viaggio interiore, meno glaciale di quelli prodotti dai Sigur Ròs, meno inquietante di una qualsiasi delle proposte dei Godspeed! You Black Emperor e meno fragoroso delle sperimentazioni rock degli Explosions In The Sky. Ma la somma di queste sottrazioni produce un risultato straordinariamente unico all'ascolto: nove tracce di perfezione in cui la voce dolcissima di Cyann scandisce ed unisce le multiformità sonore che si intersecano su tasti di pianoforte accarezzati dolcemente, rullanti di batterie lontane e linee di chitarre psichedeliche. E alla fine non ci si può davvero sorprendere che tutta la funerea malinconia che hai assorbito durante l'ascolto ti lasci solo un senso di gioia assoluto. In fondo e' un esperienza emotiva, non un semplice disco. Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.
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Current 93 - Soft Black Stars (Reissue)
Release Date: March 8, 2005
Label: Durtro / Jnana
ASIN: B00074CBBA

1. Judas as Black Moth
2. Larkspur and Lazarus
3. A Gothic Love Song (For N.)
4. Mockingbird
5. Soft Black Stars
6. It Is Time, Only Time
7. Anitchrist and Barcodes
8. Signs in the Stars
9. Whilst the Night Rejoices Profound and Still
10. Moonlight, Or Other Dreams, Or Other Fields
11. Judas as Black Moth II
12. Chewing on Shadows
13. Chewing on Shadows [Vinyl Version]
14. Chewing on Shadows [Unreleased Acoustic Version]

Uno dei miei dischi preferiti in assoluto, uscito il 1998 e poi rieditato nel 2005 con una nuova rimasterizzazione ed alcune bonus tracks. Non servirebbero molte parole per descriverlo e dovrebbe essere lasciato solo al paziente ascolto (e soprattutto ri-ascolto) per poterne apprezzare la complessità minimalista, ma ad ogni modo qualcuna ne spenderò comunque. Opera introspettiva, ostica, ermetica ed a tratti inquietante nel suo nichilismo sonoro fatto unicamente da pianoforte (quello scevro da ogni intento virtuosistico di Maya Elliott) e voce (quella aspra, stralunata e 'deforme' di David Tibet). Un'opera che all'apparenza (e al primo ascolto) potrebbe darti solo un senso di ossessiva ripetitività e vuotezza assoluta, ma che cela sotto la disarmente semplicità sonora, una complessità di sfumature che deve essere digerita ancor più che capita. Un disco che ruba molto più di quello che dona, una sorta di labirinto immerso nella nebbia che deve essere dipanata, ascolto dopo ascolto, per riuscire a trovarvi la strada rivelatrice. Le melodie che muoiono e rinascono in continui rimandi e la fragilità delle parole di Tibet a declamare le rimembranze e i ricordi di una vita passata e spesso rinnegata, la stretta dolorosa del pentimento e dei rimorsi, la ricerca del perdono, il desiderio di redenzione, la speranza di una rinascita. Occorre seguire il suo lento poetare sopra la monocorde melodia da lieder pianistico, coglierne le sfumature, l'intonazione, il modo in cui viene pronunciata una parola: questa è la faticosa strada rivelatrice. Tanto faticosa quanto appagante una volta imboccata. 'Soft Black Stars' è davvero uno dei rari casi in cui parlare di 'Arte' riferendosi alla musica non ti fa pensare a qualche esagerazione terminologica. Tanti, infine sarebbero gli episodi da citare: dalla apocalittica 'Larkspur & Lazarus' alla sublime 'A Gothic Love Song', passando per la delicata 'Whilst The Night Rejoices Profound And Still' e per la malincolica title track (che in seguito Antony & The Johnsons addolciranno ancor di più con massicce dosi di archi nella loro bellissima cover). Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.

martedì 27 febbraio 2007

Controprogrammazione - 1ma serata

Intanto mi avvantaggio che la prossima settimana sarà densa di lavoro e quindi scarsa di tempo da dedicare altrove. Per la serata di martedì 27 febbraio propongo l'ascolto di due albums piuttosto attuali (uno di prossima uscita) ed anche piuttosto diversi l'uno dall'altro. _______________________________

Radical Face - Ghost


Release Date: March 20, 2007
Label: Morr Music / M.M.
ASIN: B000MEYG8G

1. Asleep on a Train
2. Welcome Home
3. Let the River In
4. Glory
5. Strangest Things
6. Wrapped in Piano Strings
7. Along the Road
8. Haunted
9. Winter Is Coming
10. Sleepwalking
11. Homesick

Cosa succederebbe se le cose avessero una loro memoria? Se riuscissero ad immagazzinare le emozioni e le storie delle persone che le toccano, le condividono e le vivono? Beh sarebbero quindi pregne di tutti i nostri fantasmi presenti, passati e futuri. Questo è il senso di 'Ghost' il disco di prossima uscita del ventiquattrenne Ben Cooper (che qui si firma come Radical Face, dopo aver debuttato con il nome Electric President). Un disco complesso nella sua semplicità produttiva tipicamente home-made che unisce al classico cantautorato lo-fi del genere (Micah P. Hinson, Bright Eyes, Jens Lekman) un'inflessione indie-rock davvero accattivante. Non aspettatevi però schitarrate potenti perchè qui troverete solo pianoforte, archi, accordion, batteria e gentle guitars. Il risultato è un delicato, ma intenso al tempo stesso, chamber pop tratteggiato con maestria da melodie cariche di suggestioni malinconiche, ma con arrangiamenti e ritmiche davvero in stile alt rock. Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.
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The Postmarks - The Postmarks


Release Date: February 6, 2007
Label: Unfiltered
ASIN: B000LP5FTU

1. Goodbye
2. Looks Like Rain
3. Summers Never Seem To Last
4. Winter Spring Summer Fall
5. Watercolors
6. Know Which Way The Wind Blows
7. Weather The Weather
8. Leaves
9. Let Go
10. You Drift Away
11. The End Of The Story

Ritmi patinati per un disco davvero raffinato nel suo proposito di unire jazz, bossa nova e pop. Certo, l'intento di produrre questo genere di fusion non è propriamente una novità originalissima nel panorama musicale, ma questo giovanissimo trio ha tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento nel suo genere a cominciare dalla voce della cantante Tim Yehezkely che ricorda vagamente per timbrica quella delle chanteuse d'oltralpe anni '60. Gli arrangiamenti curatissimi, dai vibrafoni agli archi, contribuiscono poi a togliere luminosità alle canzoni e a trasformarle in vere e proprie ballate notturne che ricordano quei momenti in cui il party è finito, gli ospiti se ne sono andati e si rimane sospesi nel cuore della notte tra la soddisfazione ed il rimpianto. Ritmi che ti cullano e ti accompagnano con profonda calma alla riscoperta della bellezza del mondo. Il link per il try before buy it (attivo per pochi giorni) è nei commenti.

giovedì 22 febbraio 2007

Sta arrivando..

Non bastasse la caduta del Governo e il contraddittorio con l'Agenzia delle Entrate (che mi chiede qualcosa come 5.000 euri di tasse pregresse per redditi mai percepiti) ecco preannunciarsi all'orizzonte, come nuvole minacciose, le cinque serate sanremesi. Non preoccupatevi però. Almost Blue In Reverse è solidale con tutti gli amanti della buona musica e pertanto a partire dal 27 prossimo venturo e fino al 3 Marzo (cioè in concomitanza con le 5 serate festivaliere) vi proporrà la controprogrammazione musicale con il download quotidiano di 2 ore circa di musica da ascoltarsi con gli auricolari e a TV spenta. Due album al giorno, insomma, che rimarranno scaricabili per poco tempo con la formula del try and buy it per coprire interamente la prima serata televisiva e risparmiarvi così carri carichi di chicchi della famiglia del carnaroli (carrisi), armate di piccoli operatori del settore traslochi e consegne (facchinetti) e tutto il restante della banda. Un album sarà selezionato fra le novità discografiche (appena uscito o in procinto di uscire sul mercato) e l'altro invece sarà una sorta di recupero per i meno attenti. E così anche quest'anno riusciremo a sopravvivere alle pippate sanremesi! :-)

mercoledì 14 febbraio 2007

La nuova Bibbia musicale (del secolo corrente)

Neon Bible - Arcade Fire

Release date: March 6, 2007

Label: Merge Records
ASIN: B000MGUZMU

1. Black Mirror
2. Keep The Car Running
3. Neon Bible
4. Intervention
5. Black Wave/Bad Vibrations
6. Ocean Of Noise
7. Well & The Lighthouse, The
8. Antichrist Television Blues
9. Windowsill
10. No Cars Go
11. My Boby Is A Cage

In tempi di drum machines, synth, campionatori e myspace.com c'è ancora chi, come gli Arcade Fire, riesce a fare musica originale producendo canzoni. Semplicemente canzoni, partendo da una melodia e costruendoci sopra arrangiamenti a cavallo tra sonorità post-rock e suggestioni da pop barocco. Se l'indie, come filosofia musicale, è lanciata inesorabilmente verso l'artificioso artitificio artificiale l'ensemble canadese guidato da Win Buter e signora persevera diabolicamente nel peccato della strumentalità. E si che il titolo (e l'orribile copertina) di questo disco potrebbero far pensare altrimenti, eppure non è un caso che Chris Martin dei Coldplay consideri gli Arcade Fire la migliore band di tutti i tempi o che gli U2 abbiano aperto ogni concerto del loro ultimo tour con una loro canzone (Wake Up) oppure, infine, che David Bowie avesse scelto 'Funeral', il loro disco d'esordio, come regalo di Natale da fare agli amici. Il caso, ma solo in senso discografico, casomai è stato proprio quel loro primo album che da minuscola produzione indipendente s'è poi ingigantito nel passaparola del villaggio globale fino ad ergersi unanimemente a pietra miliare musicale del nuovo millennio. Ovviamente quindi la loro seconda fatica discografica era attesa da più parti, anche da quelle preventivamente pronte ad imbracciare il fucile e ad impallinarli come uno dei soliti fenomeni musicali che non riescono a confermarsi dopo un eccellente esordio. Ebbene di questa Bibbia al neon occorre dire che serve più di un ascolto per riuscire a scrollarsi di dosso quel sottile e penetrante senso di deja-vù del precedente poco funereo 'Funeral', poichè bisogna scavare sotto la superficie della maestosità degli arrangiamenti e della sontuosità delle orchestrazioni (organi a canne, ghironde, archi e fiati ad impreziosire chitarra elettrica, basso e batteria e-che-batteria!) per arrivare al cuore del disco: 11 canzoni. Gli Arcade Fire non producono musica, bensì canzoni. E lo fanno con l'inconfutabile originalità di chi ti fa venire in mente svariati altri artisti (David Bowie, Robert Smith, David Byrne e Robert Wilson su tutti) senza però poterne attribuire un'ispirazione totalizzante: Butler & soci prendono da più parti, rielaborano ed ottengono il loro marchio di fabbrica inconfondibile. E le canzoni di 'Neon Bible' si snodano tra marcette rock, crescendo dark-wave, orchestrazioni da pop organistico ed arcuate ballads per un risultato sorprendentemente omogeneo nell'eterogeneità delle suggestioni musicali proposte, forse anche perchè registrate tutte in una chiesa sconsacrata di Montreal per uniformarne il sound verso una dimensione riverberata di ostentata sacralità. L'ottima musica possiede infatti naturalmente in se un senso di sacralità ed in questo gli Arcade Fire non la profanano affatto. 'Neon Bible' in definitiva è destinato a diventare un album di riferimento per tutto il pop-rock planetario, forse ancor più ed al di là del suo acclamato predecessore e tornando alle chiese sconsacrate, non a caso è stato presentato in anteprima in uno show-case a Londra lo scorso 20 gennaio, insieme ad alcuni pezzi tratti da 'Funeral' in quel della St. Michael's Church con una performance memorabile (con tanto di bis suonati all'esterno, nella gradinata della stessa) che io vi invito a favorire, senza fare troppi complimenti:


Setlist: Black mirror; Keep the car running; No cars go; Black wave/Bad vibrations; My body is a cage; Ocean of noise; Rebellion (Lies); Intervention; Antichrist television blues; The well and the lighthouse; Haiti; Neighbourhood #3 (Power out)

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2007 Birdantony's updated playlist:

1) The Snow Abides - Michael Cashmore
2) Neon Bible - Arcade Fire
3) The Magic Position - Patrick Wolf (che prima o poi recensirò)
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lunedì 12 febbraio 2007

lo strano frutto: la canzone del secolo (scorso)

Ci sono rarissime canzoni che meritano un'attenzione particolare per via di come sono nate e poi di come si sono inserite e propagate nel mondo musicale partendo dal sottobosco per poi rifulgere incontrastate tra i cieli più alti (da 'Hallelujah' ad 'As Tears Go By'), ma probabilmente nessuna ha una storia così pregna di significati sociali come 'Strange Fruit' di Billie Holiday. Forse basterebbe solo il testo (tradotto per chi non è proprio praticissimo con l'inglese) per capire i motivi, anche sociali, che hanno reso questa canzone immortale:

"Sugli alberi del sud penzola uno strano frutto
sangue tra le foglie, sangue fino sulle radici
corpi neri ciondolano nel vento
strana frutta penzola dagli alberi di pioppo.

Scena pastorale dell'orgoglioso sud
di occhi che si gonfiano e bocche che si deformano
profumo di magnolie, dolce e fresco
e poi d'improvviso arriva quello della carne bruciata.

Ecco la frutta per i corvi da straziare,
per la pioggia da inzuppare e per il vento da rinsecchire,
per il sole da marcire e per l'albero da lasciar cadere:
ecco un raccolto amaro e strano".

Nel 1939 Billie Holyday è solita esibirsi sulla Sheridan Street del Greenwich Village in Manhattan al Cafè Society, uno dei pochissimi night-club che al tempo permetteva anche alla gente di colore di entrare dalla porta principale. Ha 24 anni ed è già incompresa dai più, sebbene già voce culto (Sinatra dichiarava la sua ispirazione al timbro della sua vocalità) e così rimarrà fino alla sua morte nel '59 prima della rivalutazione totale, ancorchè postuma. Cosa che purtroppo accade troppo spesso, per non dire quasi sempre, con i grandi artisti. Ha una voce rotta, spezzata, fortemente evocativa, fiera e dolente. In questo senso è un pò come la madre del nuovo modus di interpretare gli standards jazz, poi portato con pieno compimento a termine da Nina Simone, ma questa sarebbe ed è un'altra storia. Perchè nel 1939 Billie Holyday è anche la donna giusta per un certo tipo di testi, lei che ha subito violenza da bambina, lei che proviene dal profondo sud razzista. Ed è anche l'artista giusta per esibirsi al Cafè Society, il quale fin dai tempi del proibizionismo è una vera e propria isola liberal in un panorama angoscioso ed angosciante oscurato dalle nubi dell'odio e delle guerre. Ed è proprio al Cafè Society, fra tutti i locali di New York, in cui ci si poteva imbattere in Eleanor Roosevelt o in Kurt Weill oltrechè in molti simpatizzanti socialisti egualitari altrove indesiderati o indesiderabili. Perchè erano i tempi in cui il senatore McCarthy e l'FBI di J. Edgar Hoover avevano dato il via alla caccia alle streghe contro i simpatizzanti 'comunisti', dimenticandosi più o meno inconsciamente dei Gambino a New York, di Raymond Patriarca a Boston, di Santos Trafficante Jr. a Miami e di Sam Giancana, detto 'Mo' a Chicago. Ma anche questa sarebbe ed è un'altra storia. Perchè, tornando al Cafè Society, tra i reietti e i perseguitati che lo frequentano c'è anche Abel Meeropol, un innocuo professore di lettere di origine ebraica e di simpatie comuniste che si diletta anche a scrivere poesie che poi è obbligato a firmare con lo pseudonimo di Lewis Allen per non cadere nella allucinante censura federale, dovuta non ai contenuti, quanto più semplicemente ai dossier sulle sue simpatie politiche. Meeropol, sui tavoli del Cafè Society, scrive questa poesia drammatica e agghiacciante sugli omicidi ai danni dei neri negli stati del Sud, ispirata dalla foto dei corpi senza vita di A. Smith e T. Shipp, vittime di un linciaggio nell’Indiana del 1930, appesi ad un albero e boi bruciati vivi. Strano frutto, per l'appunto. La Holiday dapprima è reticente e bisogna considerare che parliamo del 1939, anno in cui le battaglie per i diritti civili capitanate da Martin Luther King e da Malcom X non si intravvedono nemmeno all'orizzonte, poi la mette in musica e comincia ad eseguirla per istinto, man mano che le esecuzioni al Cafè Society si ripetevano, ne interiorizzò il significato poetico, e quindi non potè più cantarla senza piangere. La Columbia, naturalmente si rifiutò di fargliela incidere. Per una come lei che affrontava ogni giorno dell'esistenza come una scommessa quella fu solo una sfida minore, così registrò la canzone per la più piccola etichetta Commodore. E immortalò il capolavoro. Nel 1939 il prestigioso Time bollò 'Strange fruit' come "insulsa canzone di propaganda musicale", sesant'anni più tardi, nel 1999, lo stesso Time la elesse "canzone del secolo", davanti ad 'Imagine' di John Lennon. I tempi cambiano e rarissime canzoni, quando sono capolavori, aiutano a cambiarli.


venerdì 9 febbraio 2007

Ma che Dico?

Che dico? Dico che per una volta sono stati i topolini a partorire la montagna. Quei piccoli topastri che zampettano furtivi sempre attenti a non farsi beccare dall'uomo (in) nero, ma anche in bianco ed in porpora, sono riusciti a rubare dalla sacrestia una montagna di formaggio. Certo non sarà un pasto completo, ma dopo una vita a stomaco vuoto, vuoi mettere? Certo il ddl Bindi/Pollastrini non sarà il massimo della linearità e della logica e l'articolato sulla non contestualità della dichiarazione di convivenza sa tanto di scappatoia per evitare un consenso congiunto ed un registro delle coppie di fatto (che poi dovrebbero spiegarmi come questo possa essere identificato come un matrimonio di serie B, perchè le argomentazioni di Bubble-Butt e Zuccanardi sono piuttosto illogiche). Certo i radicali ed il movimento gay non saranno esattamente soddisfatti come gli integralisti cattolici continueranno a farneticare sul primo passo verso la distruzione della famiglia. Ma come disse un giorno un tipo con una famiglia piuttosto allargata, cavalcando fra le pianure romagnole: "Il dado è tratto". E sapete che vi Dico? Che nemmeno quella pletora (322 + 630) di, chi più chi meno, fancazzisti potrà fare marcia indietro. La giustizia sociale e civile è inevitabile e neppure il ministro della stessa stavolta la potrà cancellare con un indulto qualsiasi. Diciamocelo e diciamoglielo.

giovedì 8 febbraio 2007

Invitation to the blues (breve racconto)

Prima di passare oltre:

- vai sull'mp3 juke-box qui a destra;
- clicca sul triangolino bianco per aprire la lista;
- seleziona 'Invitation to the blues - Tom Waits;

Bene. Ora puoi cominciare la lettura :-)



Sul cartellino appeso sopra la sua tetta sinistra c'è scritto: "Jean". Come Jean Meadows. Sta appoggiata sul bancone in attesa che il mio caffè, almeno lui, si scaldi sopra una bisunta piastra elettrica ed ha quella sgraziata compostezza che sa di un vissuto faticosamente decoroso. Il vecchio orologio sopra l'ingresso dell'Old Point ha una lancetta spezzata come i miei sogni e segna le undici e tre quarti. Fuori non si vede nemmeno la luna, quelle nubi nere minacciano scrosciante oscurità e qui dentro puzza di fumo, di sudore e di vite in putrefazione. Jean mi porta il caffè. Gli lancio uno sguardo vuoto, lei risponde alzando un sopracciglio nero da sotto la messa in piega biondo finta. 20 cents, mancia compresa. Il caffè è freddo e sa anche un pò di piscio. Non ci fosse stata la fermata della Continental Trailways qua davanti non sarei mai entrato in questo cesso di posto a bere questo cesso di caffè. Però c'è questa Jean che lavora li. La guardo caracollare stanca dentro quel grembiule consunto. Caviglie fine e belle tette, ma sono gli occhi lo spettacolo. Occhi che sanno senza chiederti nulla. Il neon dietro il bancone va ad intermittenza e mi chiedo se abbia qualcuno. Qualcuno che la scaldi quando torna a casa dopo una nottata come questa. Il bus che è partito da Chicago ed arriverà a St.Louis passa fra mezz'ora ed io ho tempo per un altro fetido caffè. Le faccio un cenno. C'è compassione, compassione e risolutezza nel suo sguardo, ma nessuna traccia di compatimento. E' una che non giudica il prossimo, si vede. Non batte ciglio nemmeno quando le dico di correggermi il caffè col Jack Daniel. Mentre butto giù quella brodaglia me l'immagino dieci anni fa. Più giovane e curata. Un conto in banca ed un uomo che l'amava, anche se solo di notte. Un uomo che l'ha lasciata per una più giovane o magari solo per la bottiglia. Mi accendo una Marlboro e penso che sono tre giorni che non mi rado. Non avrei comunque potuto far colpo su di lei, non c'erano speranze e poi St. Louis mi sta aspettando. Mi alzo e vado a pagare. Jean mi accoglie alla cassa con un sorriso. E' il primo sorriso che le vedo fare da quando sono entrato ed è sincero seppure senza gioia o allegria. E' un sorriso da reduce a reduce, un cenno intesa fra sopravvissuti, il riconoscimento delle macerie che entrambi ci portiamo dietro ad ogni passo. E' il suo modo di dirmi che sa di me e che ha capito che anch'io so di lei. Addio piccola. Peccato che t'abbia incrociato solo questa notte. Le lascio una mancia generosa, prendo la mia valigia di tela marrone, mi stringo dentro al cappotto ed esco dall'Old Point. Fa un freddo cane ma non piove ancora. E' buio pesto ed il bus della Continental Trailways sta per arrivare. Ripenso alla luce negli occhi di Jean e spero che la mia nuova vita sarà altrettanto luminosa. No, non sarà così. Ma farà lo stesso.

mercoledì 7 febbraio 2007

Quattro matrimoni e un funerale

E per la par condicio quotidiana..


Il Morta durante il vertice sulla politica estera dell'Unione di ieri sera ha tuonato contro l'ingerenza di Stati Esteri in merito alle scelte del governo italiano (riferendosi alla famigerata lettera dell'ambasciatore USA sulla possibile decisione di ritirare le nostre truppe dall'Afghanistan). Bravo Morta! Modestamente ti ricorderei che anche il Vaticano è uno stato estero piuttosto ingerente nelle scelte del nostro governo. E invece mi pare proprio che le scelte saranno orientate verso quei quattro matrimoni con funzione religiosa che ancora si celebrano nel nostro paese e verso il funerale del riconoscimento pubblicistico di elementari e quantomai sacrosanti diritti. Morta, Morta, mannaggia...

Gays & desperate housewives


Yes. I gay stanno tutti dall'altra parte come evidentemente le casalinghe disperate, botulate e cornificate, ma comunque sposate per non delegittimare il sacro istituto della famiggggghia ruiniana, staranno by your side. Hey Silvio, take a walk on the wild side..

martedì 6 febbraio 2007

La prova del 9

Si lo so, questo disco non è più una novità, ma quando è uscito nel novembre scorso questo blog non esisteva e poi, diciamocela tutta, l'inverno metereologico ha fatto capolino solo da pochi giorni e questo è un disco da ascoltare e conseguentemente da recensire quando fuori fa freddo, veramente freddo.


9 - Damien Rice

Original Release Date: November 14, 2006
Label: Heffa/Vector/Warner Bros.
ASIN: B000IU3XTM

1. 9 Crimes
2. The Animals Were Gone
3. Elephant
4. Rootless Tree
5. Dogs
6. Coconut Skins
7. Me, My Yoke, and I
8. Grey Room
9. Accidental Babies
10. Sleep Don't Weep

Ci sono modi e modi per chiudersi fra le pareti insonorizzate della propria anima e guardare al passato. C'è chi lo fa con il frigido disprezzo che solo la consapevolezza di un presente migliore può donare e chi lo fa attanagliandosi dietro rimorsi e rimpianti che s'inseguono come eterni fantasmi nella giostra dei ricordi. E poi ci sono quelli che, come per magia, riescono a far coesistere incastrandole in un mosaico intimistico entrambe queste prospettive: a Damien Rice basta solo una chitarra acustica o un pianoforte per darti una mano di carta vetrata cosparsa di miele a levigare gli spigoli sedimentati dal tempo che sono sorti innaturali sulla superficie del tuo cuore. Ascoltare il suo '9' è come prendere una medicina amara, ma quantomai benefica. E' una sorta di purificazione per mezzo di un viaggio catartico che sovrasta il caos frenetico della quotidianità, che scatta istantanee di amori giunti al termine, che si interroga sui motivi della propria esistenza e che urla la rabbia ingiustificata della libertà per poi placarsi nell’eterno dialogo della propria anima con sé stessa. Un viaggio da fare nella propria nudità, accompagnati solo dall'ostico, intimo e sincero minimalismo di questo schivo e caparbio cantautore irlandese con la sua voce sofferta e con la sua poetica schietta e poco edulcorata. '9' è un disco cupo, a tratti disperato e laddove il precedente 'O' era mitigato da una sorta di suadente malinconia, anche grazie alla massiccia presenza vocale dell'inseparabile Lisa Hannigan, ora non c'è quasi più nulla a limitare gli eccessi di oscura rabbia che emergono da sotto la placida superficie come il '..fuck you, fuck you, fuck you/and all that you do..' nell'inciso di 'Rootless Tree' o come l'esplosione elettrica veementemente rock del finale di 'Me, My Yoke And I' a fare da contraltare alla sue caratteristiche delicate folk-ballads ('The Animals Were Gone, 'Elephant', 'Grey Room' e l'introduttiva '9 Crimes') che pure sono imprescindibili per la compattezza emotiva del disco. Disco ostico, per l'appunto. Ostico e ruvido proprio per la sua complessa semplicità e per quell'esercizio di scarnificazione del relativo in funzione di una più corposa descrizione dell'assoluta necessità di trovare un equilibrio interiore. Quell'equilibrio che non può prescindere dal guardarsi alle spalle sospesi fra luce ed ombra, fra consapevolezza e rimpianti, fra speranza e disperazione e comunque fortificati proprio dalle nostre rispettive fragilità. Prescindendo dall'ermetico titolo di questo disco, che sia davvero questa la prova del 9 per tutti noi esseri umani, creature malate di croniche infermità esistenziali? Chissà, per ora mi basta spegnere la luce, sdraiarmi sul letto e mettere Damien Rice sullo stereo. Stanotte mi trastullo con i fantasmi del mio passato, ma domani il sorgere del sole porterà, come ogni nuovo giorno, le avanguardie solide del mio futuro. 'Notte.

lunedì 5 febbraio 2007

La neve resta..


DURTRO JNANA 002
Michael Cashmore The Snow Abides mini CD
Lyrics: David Tibet Vocals: Antony
My Eyes Open • The Snow Abides • How God Moved at Twilight • Your Eyes Close • Snow No Longer
Available exclusively from Jnana Records from late January. Official release: late February 2007
www.jnanarecords.com


Ventidue minuti. La neve può rimanere così soffice e fredda ad avvolgerti anche solo per ventidue minuti, ma la sua bianca morbidezza poi rimane a confortarti a lungo, a prendere la tua anima per mano ed accompagnarla fra le più rilucenti malinconie. Michael Cashmore scrive cinque melodie impressioniste per pianoforte, melodie affatto minimaliste come quelle che compose per i Current 93 nel loro album capolavoro 'Soft Black Stars', bensì arricchite da arrangiamenti soft cameristici, con tanto di flauti e campanellini sospesi su un tappeto d'archi. I ventidue minuti di neve cristallizzata si aprono e si chiudono ('My Eyes Open' e 'Snow No Longer') con la temeraria delicatezza strumentale di un folle musicista inglese trapiantato a Berlino che miscela alla spiritualità lisergica del folk apocalittico la sontuosità profonda della musica sinfonica. Però sono probabilmente i tre episodi centrali del disco a condurci verso una sorta di quadratura del cerchio emotivo, come se solo dal centro si potessero scorgere i confini estremi di questo bianco e soffice universo romantico. Tre episodi affidati ai vibrati intensi e profondi di Antony che danno voce alla penna lucida e visionaria di David Tibet. Il reverendo dell'Apocalisse estrae dal cilindro tre testi impegnati ed impregnati di corposa ed epica poeticità, laddove la sofferenza per un amore mai nato ('The Snow Abides') viene solo parzialmente mitigata dall'evocazione di una spiritualità carica di redenta fanciullezza prima della disllusione che il tempo inesorabilmente porta con se ('How God Moved At Twilight'), per poi infine tratteggiare una serie di associazioni d'immagine in cui il dormire e più in generale la debolezza divengono simboli della vivificazione e della mortificazione dell'amore ('Your Eyes Close'). Antony al solito è spettacolare. Per nulla intimidito dalla struttura elaborata della poetica di Tibet si lancia con tutta la profondità della sua voce baritonale che scava vere e proprie ferite emotive al cuore e che diventa nel suo canto e controcanto un vero e proprio ulteriore strumento nelle mani di Cashmore. I suoi vibrati sovrapposti in multi-traccia enfatizzano una sorta di profondità spaziale che donano al disco una vera e propria anima che sa di vissuto ancorchè sognante e consapevolmente malinconico. Si tratta solo di ventidue minuti, ma sono intensi come un vero e proprio long playing, come si diceva un tempo. Sono ventidue minuti perchè la neve può rimanere così soffice e fredda ad avvolgerti anche solo per ventidue minuti. Bastano comunque per rinfrancarti dalla ruvida e calda routine della vita di tutti i giorni.

tutto cominciò così

Cominciare una cosa, qualsiasi cosa, è sempre un esercizio che mi rimane assai più difficoltoso rispetto al finire e completarla. Cominciare questa sorta di diario pubblico poi è una sorta di mezza atrocità, sapendo che se anche esisterà una fine io non riuscirò nemmeno ad accorgermene perchè sarà unicamente scandita dal lento ed inesorabile spegnersi della fiammella della mia volontà e della mia pazienza. Qualità peraltro che non abbondano naturalmente in me. Forse è il caso che nemmeno chiuda questo messaggio inaugurale e lo posti subito, incompleto così come è, prima di cambiare idea. Anzi è quello che farò, oltre a ringraziare anticipatamente chiunque leggerà una sola delle parole che si incateneranno l'un l'altra nei vaneggiamenti che appariranno su queste pagine. Coloro che giungeranno, solitari viandanti telematici di passaggio, qui solo per caso e coloro che invece torneranno, i quali oltre ai ringraziamenti andrà anche un pizzico di compatimento da parte mia, poichè in tal caso risulterà manifesta anche da parte loro una certa dose di follia. Quella che è un pò anche la mia. Quella che è un pò di tutti coloro che cercano di scoprire il colore opposto del quasi blu. Buona lettura anyway! baxxx