mercoledì 26 marzo 2008

Solo grandi successi.. (Marzo 2008 - Seconda parte)

Innanzi tutto una premessa. Siccome ho notato che c'è molta gente che giunge qui attraverso ricerche su google del tipo: "2008 grandi successi", specificherei che i citati grandi successi sono tali per me in quanto i più programmati del momento (tanto per usare un lessico radiofonico) sul mio ipod (e sottolinerei la parola 'mio'). Detto ciò ecco la seconda playlist di questo mese di Marzo! :)

Birdantony's playlist IV (Marzo 2008 - Parte II) - Durata 24'34"




1. Seafaring Song - Isobel Campbell & Mark Lanegan (da "Sunday At Devil Dirt"): A distanza di due anni dal bel 'Ballad Of The Broken Seas' l'improbabile duo ci riprova e come nella precedente occasione il risultato è assai ben diverso da quanto ci si potesse aspettare (cioè il cocktail musicale dei relativi ex gruppi d'appartenenza: Belle And Sebastian e Screaming Trees). La Campbell scrive la musica e fa i cori, Lanegan i testi e fa il lead vocal per il seguito di questa saga musicale sempre in tensione fra le murder ballads di Nick Cave e gli american recordings di Johnny Cash. Il fascino non manca neppure in questo disco e scaturisce principalmente dal contrasto delle soavi melodie da carillon della Campbell interpretate dalla ruvidezza vocale di Lanegan. 'Seafaring Song' è la traccia che apre 'Sunday At Devil Dirt', una sorta di ballata del marinaio che richiama la tradizione folk irlandese, molto scarna nella forma e un pochino fuori dal tempo. Una di quelle ballate insomma che potresti fischiettare nel bel mezzo di una tempesta atlantica mentre il vento burrascoso ha spezzato il tangone e ti balena in mente l'immagine di tua moglie davanti al focolare di casa, ma anche quella della puttana che ti sta aspettando, se mai ci arriverai, nel prossimo porto di attracco. Gainsbourgbirkiniani.

2. Plastic - Portishead (da "Third"): Dodici anni di black-out discografico non sono pochi e non è poco nemmeno tutto ciò che si è evoluto nel panorama musicale planetario in questo lasso di tempo. I Portishead con due soli album erano diventati una sorta di punto di riferimento sonoro dell'avanguardia musicale degli anni '90 e c'era molta curiosità (barra scetticismo) sul loro ritorno. Sgombriamo subito il campo da ipotesi di reunion commerciale (tanto per far cassa) o autocelebrativa (tanto per riproporre se stessi): i Portishead sono sempre i Portishead e il loro percorso rimane coerente seppur avviato su sentieri musicali rinnovati. 'Third' è un ennesimo viaggio oscuro, a tratti magmatico in Beth Gibbons e Geoff Barrow trovano la strada per una nuova espressione, facendo leva sul loro indiscusso ed indiscutibile modo di plasmare materia sonora. Melodie sofferte su cui si muove sapiente la voce della Gibbons, disturbate da innesti elettronici, chitarre elettriche spettrali e ritmiche dall'incedere schizofrenico. 'Plastic' in questo senso potrebbe essere la 'Roads' del nuovo millennio con la sua andatura sincopata in un'alternanza fra il cantato etereo di Beth Gibbons e l'armamentario trip-hop di Geoff Barrow (con tanto di chitarra elettrica con effetto elicottero alla Tom Morello): un saliscendi ritmico cupo, a tratti malsano, però sempre affascinante. Bentornati.

3. Daniel Lanois - Where will I Be? (da 'Here Is What Is'): Daniel Lanois è forse più noto al grande pubblico come produttore che come l'artista poliedrico che in realtà è, non foss'altro perchè ha messo le mani, fra gli altri, su 'The Unforgettable Fire' e 'The Joshua Tree' degli U2 e su 'Oh Mercy' e 'Time Out Of Mind' di Bob Dylan, però è già giunto al suo ottavo disco e lo scorso anno ha anche debuttato come regista in 'Here Is What Is' presentato al Toronto Film Festival. L'omonimo album (uscito questo 18 di Marzo) è proprio la colonna sonora del film (costruito attorno ad una camera da presa che ritrae Lanois per il corso di un anno, fuori e dentro uno studio di registrazione), un disco che fonde la sua luminosa vena folk-rock con le atmosfere buie e notturne della musica contemporanea. Aggiungo anche che ad inframezzare le suggestioni musicali ci sono poi anche alcune tracce interludio in cui Lanois conversa con Brian Eno di filosofia, tanto per rendere l'idea dell'ambiziosa complessità di quest'opera. 'Where Will I Be?' è una ballad esistenziale in cui la calda voce di Lanois si insinua nel tappeto sonoro costruito su batteria, chitarra elettrica e tastiere a richiamare alternativamente il songwriting popolare di Springsteen e le cupe malinconie di Costello. Sonnambulo e funambolo.

4. Scott Matthew - In The End (da "Scott Matthew"): Di questo straordinario singer-songwriter e del suo primo omonimo album ho già abbondantemente disquisito in un post precedente e dunque non mi dilungherei ulteriormente. In questa playlist ho inserito 'In The End', il pezzo che chiudeva 'Shortbus' di John Cameron Mitchell (nella versione di Justin Bond & The Hungry March) e che viene riproposto in modo quasi identico rispetto all'ulteriore versione già presente nell'album della colonna sonora del film (solo qualche nota di piano aggiunta). Poco male visto che è proprio in quella sua sorta di minimalismo nichilista che, a mio modo di vedere, la canzone trova la sua principale ragion d'essere. Sublime e non banale riflessione sulla fine: "E quando il tuo ultimo respiro arriverà scoprirai che i tuoi demoni in realtà sono stati i tuoi migliori amici", canta Scott e noi con lui (il più tardi possibile, of course). Funereo.

5. Lior - Safety Of Distance (da "Corner Of An Endless Road"): Con il suo primo album 'Autumn Flow' del 2005, questo giovane cantautore australiano di origini israeliane si era fatto subito notare battendo ogni record di vendita per un disco di un'etichetta indipendente nel suo paese e collezionando 4 ARIA awards (gli oscar australiani della musica). Ora è tornato con un nuovo album che richiama le atmosfere precedenti, arricchendole però di sonorità ancor più ricercate. Il mondo di Lior è quello dei panorami bucolici, quasi fiabeschi, popolati da flora (colorata) e fauna (parlante): la vita dentro un cartone animato insomma è proprio la sua (altro che quella di Mika!). Melodie vellutate dal sapore vagamente melò da operetta (molto alla Rufus Wainwright insomma) impreziosite dalla leggerezza squisitamente pop dovuta ad un approccio 'easy listening', ma non per questo etichettabile come commerciale tout court. Da segnalare che il singolo 'I'll Forget You' vede la partecipazione vocale di Sia (Zero7), mentre il pezzo presente in questa playlist è il conclusivo 'Safety Of Distance': una ninna nanna per voce e trombone di rara bellezza. Come avrei potuto evitare di inserire un pezzo che nel suo inciso ripete la frase: 'Compassion is the measure of a man'? Perchè, anche vista dal lato laico che più laico non si può, non è forse vero? Ecumenico.

6. The Black Keys - All You Ever Wanted (da 'Attack & Release'): I Black Keys da Akron, Ohio cioè Daniel Auerbach (voce e chitarra) e Patrick Carney (batteria) sono giunti al sesto album in sei anni di attività e sebbene il riscontro commerciale sia sempre stato piuttosto scarso, quello dell'amore dei fans dell'indie rock a stelle e strisce non è mai mancato ed è ormai giunto a vette di quasi adorazione. Loro fanno un blues-rock elettrificato di stampo sudista a cavallo fra Nashville e New Orleans con un sound costruito certosinamente e 'prodotto' in ogni minimo dettaglio che riesce quasi sempre però a suonare naturale come fosse un reperto d'epoca. 'Attack & Release' è forse l'apice della loro carriera, un disco prodotto da Danger Mouse (Gnars Barkley) con la collaborazione di Marc Ribot (Tom Waits Band) che pure suona però come fosse bluegrassato alla Lynyrd Skynyrd o vagamente retrò come una sorta di Wilco deviati. 'All You Ever Wanted', il pezzo nella playlist, ma anche l'apripista dell'album, è una sorta di biglietto da visita dei Black Keys: una country ballad (tipo una di quelle che Neil Young non riesce più a scrivere da trentacinque anni a questa parte) che comincia con un'andatura un pò dinoccolata per poi impazzire come la maionese fra orge di chitarre elettriche ed esplosioni di organo hammond. Classicheggianti.

7. Alessandra Celletti - Burning (da "Way Out"): La Celletti è una delle esecutrici planetariamente riconosciute tra le più brave quando si parla delle opere di Georges Gurdjieff, Claude Debussy e soprattutto Eric Satie. Proprio al suo 'Esotérik Satie' del 2000 deve la sua fama negli ambienti, anche i più snob, della musica classico-contemporanea da Parigi a New York, passando per Londra. Lo scorso anno poi la svolta con 'The Golden Fly', album in cui per la prima volta Alessandra si cimenta con composizioni proprie, seppur sempre ispirate al movimento minimalista del ventesimo secolo, mentre con questo nuovo 'Way Out' più che di svolta ulteriore potremmo parlare di vera e propria rivoluzione: non più solo pianoforte, ma anche batteria e voce (e, sorpresa sorpresa, lei ha anche una bella voce!). Mi dovrete quindi scusare se per questa playlist ho scelto uno degli unici tre pezzi strumentali del disco. Il problema è che questa 'Burning' è davvero un piccolo gioiellino che s'è andato pian piano incastonandosi nel mio cuore: un crescendo progressive alla Keith Emerson in cui pianoforte e batteria si inseguono vicendevolmente senza raggiungersi mai fino al finale deflagrante. Chiudo gli occhi e riesco a vedere le fiamme consumarsi nel loro accecante balletto. Passionale.

8. Yael Naim - Lonely (da 'Yael Naim'): Ultimamente rimango sempre più affascinato da questi giovanissimi cantautori di origine israeliana (Keren Ann, Lior, Yoav e molti altri ancora) per la leggerezza quasi fatata delle loro composizioni. Mi colpisce soprattutto quest'aspetto che contrasta fortemente con la realtà delle loro origini, una realtà fatta invece di sangue, distruzione e guerra, come se quelle atmosfere rarefatte, malinconiche, fiabesche, comunque a tinte pastello, potessero in qualche modo esorcizzare il clangore rosso porpora delle bombe umane di Tel Aviv. In questo senso l'album di Yael Naim è il perfetto contraltare di queste ultime con quelle sue atmosfere minimali ed intimistiche, a tratti anche malinconiche, ma sempre caratterizzate da una sorta di gioia di vivere e da un senso di stupore fanciullesco. Ben venga allora anche il singolo 'New Soul' (peraltro il pezzo più brutto dell'album) scelto per la campagna pubblicitaria del MacBook Air che ha portato questa giovanissima franco-israelita, oltrechè sul palco del Festival di Sanremo, fin sulle vette della Billboard chart. 'Lonely' il pezzo che chiude questa playlist è invece una ballad delicata e malinconica, fra Tori Amos e Norah Jones, che comincia in modo soffuso (piano e voce) per poi arricchirsi strada facendo attraverso un sontuoso e johnsoniano quartetto d'archi. Fanciullesca.

mercoledì 19 marzo 2008

Io credo..

.. di amare questa donna!


P.S.: naturalmente mi riferisco alla Cortellesi e non alla Santanchè! :)

venerdì 14 marzo 2008

Ji Yeon


Stanotte sulla ABC hanno trasmesso un episodio cruciale per tutta la saga isolana! Episodio un pò particolare e dal cui titolo già si evince sarà incentrato sulla coppia Jin e Sun, ma non solo: flash-back su Jin, flash-forward su Sun (come andrà la gravidanza insomma.. eh eh eh) e nel 'presente' le vicende degli isolani sulla nave dei 'soccorritori' (e non chiedetemi perchè ho messo tra virgolette la parola soccorritori!). Ora manca l'ottavo episodio (giovedì prossimo) e poi arriverà la pausa di 6 settimane (prima dei 5 episodi conclusivi) della serie. Solo a pensarci sono già in astinenza!

Lost - Stagione 4 - Episodio 7 'Ji Yeon' (con sottotitoli in italiano)

Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4
Sottotitoli

giovedì 13 marzo 2008

Campagne elettorali




Strani amori..

Sto guardando la quarta stagione di Lost praticamente in contemporanea con gli ammmercani e però ogni tanto mi dimentico di sharare gli episodi. Poco male visto che dopo gli sconvolgenti 30 secondi finali del quarto episodio 'Eggtown', con un flash-forward dedicato a Kate che vi lascerà completamente basiti, ecco giungere un paio di episodi dedicati all'amore (certo che su Lost anche gli amori sono strani forti!). Il primo narra di paradossi spazio-temporali nella liason Desmond e Penny, il secondo esplora il legame morboso fra Ben e Juliet, mentre la tela di misteri ed inganni si infittisce invece di diradarsi!

Lost - Stagione 4 - Episodio 5 'The Constant' (con sottotitoli in italiano)

Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4
Sottotitoli

Lost - Stagione 4 - Episodio 6 'The Other Woman' (con sottotitoli in italiano)

Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4
Sottotitoli

E stasera sulla ABC c'è il settimo episodio, che dovrebbe essere anche il penultimo prima della pausa imposta dal famigerato sciopero degli sceneggiatori, e quindi prima ancora di riprendere coi 5 episodi conclusivi di questa terzultima serie di Lost! La luce, insomma, è ancora ben lontana e noi non siamo affatto fuori dal tunnel! :)
s

martedì 11 marzo 2008

Ma vaffanculo!


"Non ho strappato il programma del Pd. E' il solito sistema mistificatorio".
Silvio Berlusconi, 11.03.2008



"Noi dobbiamo fare una campagna elettorale e si deve vincere. L'editore Ciarrapico ha giornali importanti a noi non ostili ed è assolutamente importante che questi giornali continuino ad esserlo visto che tutti i grandi giornali stanno dall'altra parte".

Silvio Berlusconi, 11.03.2008

lunedì 10 marzo 2008

Scott Matthew (senza la 'S')

Due erano i dischi di questa primavera (alle porte) che aspettavo con una certa trepidazione, ma se per quanto concerne quello dei Portishead (comunque bellissimo!!!) lascerei la parola ad altri amici bloggers (che faranno indubbiamente meglio del sottoscritto), sul primo omonimo album di Scott Matthew qualche riga la voglio spendere.
Ricordo che ormai due anni orsono uno dei miei amici virtuali su myspace mi inviò un messaggio riferito a Scott Matthew che si concludeva all'incirca nel seguente modo: "Certo che è incredibile come uno che non ha ancora nemmeno fatto un disco sia così imprescindibile!". Beh allora sembrava decisamente incredibile, anche perchè escluse alcune collaborazioni in colonne sonore minori e il progetto Elva Snow (in cui Scott cantava canzoni scritte da Spencer Cobrin, già batterista di Morrissey) l'unico modo per venire a conoscenza della sua esistenza, a meno che non si fossero bazzicati i baretti del Greenwich Village, era la sua visitatissima pagina su myspace. Poi arrivò la partecipazione, anche come presenza scenica, in 'Shortbus' di John Cameron Mitchell (che sbancò il Festival di Cannes) con cui Scott Matthew diventò un vero e proprio fenomeno di culto ed infine, ma siamo arrivati nel frattempo al 2008, ecco finalmente il suo primo album che uscirà qui da noi in contemporanea col suo minitour di 4 date (Torino, Milano, Roma e Ravenna) dal 18 al 22 Aprile prossimi.


Artist: Scott Matthew
Title: Scott Matthew
Country: New York, USA
Italian Release Date: 2008.04.18
Genre: Chamber Pop / Experimental / Alternative Folk
LABEL: Glitterhouse Records

1. Amputee
2. Abandoned
3. Prescription
4. Ballad dear
5. Little bird
6. Laziest lie
7. Upside down
8. Habit
9. In the end
10. Surgery
11. Market me to children

Un disco, bisogna subito dire, che non tradisce le attese, almeno quelle di tutti coloro che lo stavano aspettando con trepidazione (me compreso) e che sicuramente introdurrà i neofiti nell'incredibile mondo musicale di Scott Matthew. Melodie semplici dal ritmo quasi fiabesco narrate in tono acustico (chitarra, piano, ukulele, violoncello) ma comunque mai dimesso e caratterizzate dalla voce di Scott. Una voce che potrei eufemisticamente etichettare come 'particolare', una definizione che di per se nulla sottende se non la sua dose di originalità. La voce perfetta per le sue canzoni ninna-nanna che ondeggiano sopra la decadenza immarcescibile che avvolge il nostro mondo, voce che esprime una sorta di sofferenza soave e allo stesso tempo di claustrofobica gioia di fronte al nichilismo di un'anima dilaniata. C'è modo e modo di esprimere sofferenza e quello usato da Scott Matthew (voce e musica insieme) unisce la bellezza al dolore. Beauty and pain. Due parole che basterebbero da sole a descrivere questo disco, che si compone di 7 inediti assoluti e 4 rivisitazioni e rivitalizzazioni di tracce già comprese nella colonna sonora di 'Shortbus' (manca inspiegabilmente solo la mia preferita: 'Language') alternando arrangiamenti cameristici (molto Antony & The Johnsons) ad altri folk minimalisti (che richiamano direttamente Sufjan Stevens). Un disco che incanta e che sono certo segnerà la nascita di una stella nel panorama indie internazionale.

GIUDIZIO: 5/5
ASSONANZE: Ramona Cordova 'The Boy who Floated Freely', Antony & The Johnsons 'I Am A Bird Now', Devendra Banhart 'Rejoicing In The Hands', Sufjan Stevens 'Christmas Album'.

Non posto alcun link per il download stavolta, come in genere sempre faccio quando un disco merita l'acquisto a prescindere. Se però qualcuno non potesse fare a meno di ascoltare il disco con congruo anticipo rispetto al 18 di Aprile me lo faccia sapere qui, su myspace o via email che provvederò!

giovedì 6 marzo 2008

Solo grandi successi.. (Marzo 2008 - Prima Parte)

Il mese di Marzo (e probabilmente anche quello di Aprile) meriterà almeno due playlist musicali viste le uscite discografiche di qualità che si stanno succedendo e visto anche il fatto che non conterranno mai più di 6 o 7 pezzi cadauna. Ma andiamo con ordine!

Birdantony's playlist III (Marzo 2008 - Parte I) - Durata 24'35"






1 - All Misery/Flowers - The Gutter Twins (da 'Saturnalia'): All'apparenza l'operazione 'gemelli dei bassifondi' potrebbe sembrare unicamente un restyling formale dei The Twilight Singers di Greg Dulli inserendo Mark Lanegan a pieno titolo nella frontline della band e non solo come ospite, a dire il vero piuttosto 'fisso' dei loro dischi. Ma questo 'Saturnalia' è un progetto davvero nuovo e diverso, in cui è la scrittura e non solo l'esecuzione ad essere equamente divisa fra i due monumenti del grunge anni '90. Il disco infatti risulta decisamente ed inevitabilmente grunge per impatto musicale e stilistico, un disco nel quale alle sonorità classic hard-rock di Dulli si mescola l'oscurità visionaria del songwriting di Lanegan: melodie nere e lancinanti che puzzano di sangue, di sporco, di sesso, di eroina. Well, it's rock'n roll baby! Un album di 'fottuto' rock come non mi capitava di ascoltare da tempo (che anche l'ultimo self titled dei Pearl Jam mi aveva lasciato con un pò di amaro in bocca). 'All Misery/Flowers' è una sorta di medley fra due canzoni diverse che si sviluppano su di una portentosa ed ipnotica batteria in 4/4, dove la voce straziata (da alcool e anfetamine) di Lanegan si interseca ai riff chitarristici Dulliani in un ensemble che dire da brividi è dire poco. Roccati e sciroccati.

2 - Plafone - Elio e le Storie Tese ft. Antonella Ruggiero (da 'Studentessi'): Geniali, dissacranti, demenziali. Sicuramente e al di là dei gusti soggettivi gli Elii, tornati alla ribalta col Dopofestival, sono tutto questo ma non solo. Fondamentalmente loro sono dei musicisti di prima qualità ed il fatto che mettano a disposizione delle loro composizioni infarcite di citazioni più o meno dotte, gli abituali testi surreali potrebbe essere considerato un mero dettaglio. In questo senso 'Studentessi' sembra il naturale seguito del loro 'Cicciput', un album in cui, abbandonati quasi definitivamente i turpiloqui adolescenziali degli esordi, trovano spazio duetti canori dissacranti (Giorgia, Claudio Baglioni, Irene Grandi ma non solo) a declamare versi di assoluta surrealtà visionaria e composizioni pervase ad assoluta follia (ad esempio una mini operetta in 5 atti e tracce sui famigerati messaggi satanici al contrario dei vecchi dischi metal). 'Plafone', ad esempio, è la storia di una lite condominiale per problemi idraulici musicata in stile progressive anni '70, tanto che l'intro iniziale pare molto più di un mero omaggio alla PFM. La Ruggiero è sotto la doccia (otturata) a svolazzare su tonalità inaccessibili ed il baritono Elio al piano sottostante alle prese con un principio di allagamento. Realisticamente irreali.

3 - Back To Black - Lightspeed Champion (da 'Falling Off The Lavender Bridge' DeLuxe Edition): Dischettino molto promettente quello che sancisce l'esordio solista di Dev Hynes scoperto, per quanto mi riguarda, grazie a onanrecords e fard-rock. Un pop molto british come scrittura (con numerosi ed espliciti rimandi a Badly Drawn Boy e The Smiths su tutti), ma di fattura produttiva rigorosamente 'Saddle Creek' (Bright Eyes, M Ward) che ne fanno un interessante esperimento di folksinging decisamente cosmopolita, non tradendo mai però quel concetto tipico di melodia pop-rock made in uk. La traccia che ho inserito in questa playlist si trova nel bonus cd dell'edizione speciale ed è nientepopodimeno che la cover della title track del pluripremiato album di Amy Winehouse tanto per dimostrare che quando uno ha talento può cantare di tutto e che quando una canzone è interessante tale rimane anche spogliata ai minimi termini: in questo caso voce e chitarra acustica. Musicalmente poliglotta.

4 - Yesterday Tomorrows - Tindersticks (da 'The Hungry Saw'): Della serie: "A volte ritornano, anche quando sembrava che non dovessero mai più farlo". Eh si perchè i Tindersticks erano ormai sciolti da tempo e Stuart Staples ben avviato, con due albums e mezzo, ad una soddisfacente carriera solista. Eppure a cinque anni di distanza ecco tornare i menestrelli del chamber pop in tutto il loro abituale splendore, ovvero in tutta la loro abituale, malinconica ed avvolgente bruma orchestrale. Personalmente ritengo Staples una sorta di Bacharach del nuovo millennio per il modo in cui la sua scrittura riesce ad essere dolcemente evocativa e al tempo stesso lucidamente tagliente. In questa 'I domani di ieri' si racchiude in un certo senso tutta la musica dei tindersticks: la melodia delicata come la nebbia che avvolge Nottingham, la sottile inquietudine da atmosfera un pò noir, l'introspezione lirica e le orchestrazioni sontuose con tanto di flauto traverso sempre protagonista. In una parola: sciropposi.

5 - Undone - deVotchKa (da 'A Mad & Faithful Telling'): Altro ritorno, questa volta dopo 4 anni dall'acclamato 'How It Ends' per la band probabilmente più singolare dell'intero panorama musicale planetario. Loro vengono dal Colorado, ma non aspettatevi dalla loro musica nulla di certo e soprattutto di localizzato. Le influenze nel loro caso sono molteplici e variegate: dalle marcette slave alle chitarre gitane, dal sirtaki greco alla rumba messicana, dalle fanfare balcaniche al country del Tennessee. La loro abilità, che ne sancisce poi la forza musicale, sta proprio nella capacità di riassemblare il tutto in modo sorprendentemente coerente con un'impostazione musicale tipicamente indie rock. Questo però è il loro primo album per un'etichetta importante (la Anti Records) seppur non una major e se anche si sono lasciati necessariamente alle spalle qualche affascinante suggestione lo-fi il risultato risulta comunque eccellente poichè ne hanno guadagnato in un'ancor più articolata ricchezza musicale. 'Undone' è un pezzo complesso dalle iniziali atmosfere tex-mex (chitarra acustica e mandolino) che si evolvono pian piano per giungere a territori sonori klezmer, ma quando pensi di aver ascoltato tutto ecco che il mood muta nuovamente (fisarmonica dall'incedere tanghista) sempre assecondando però la linea melodica (e il cantato malinconico di Nick Urata) che spogliati da ogni divagazione sonora ne farebbero comunque un piccolo gioiellino folk-indie. Globalizzati.

6 - When Water comes To Life - Cloud Cult (da 'Feel Good Ghosts'): Concludo questa playlist con i Cloud Cult e quindi con un'ulteriore orgia sonora seppur di tipo decisdamente diverso rispetto al burlesque dei deVotchKa. I Cloud Cult sono una band di Minneapolis, giunti ormai al sesto album, noti probabilmente ai più per il loro impegno ecologista (anche questo loro nuovo lavoro, sempre per la Earthology Records, è fatto interamente di materiale riciclato sfruttando l’energia geotermica) che per la loro musica pure eccellente. 'Feel Good Ghosts' è un disco meno cupo dei precedenti (segnati dalla morte a soli due anni del figlio del frontman Craig Minowa) dove si respira però un'aria da imminente fine del mondo, una sorta di rassegnazione cosmica con anche abbandante uso di post-produzione ad accentuarne la fragorosa ineluttabilità. I loro punti di riferimento musicali partono dai Modest Mouse e dagli Arcade Fire per sconfinare però fino alle orchestrazioni sinfoniche di reminescenze classicheggianti (barocco veneziano su tutti). Proprio il barocco e i barocchismi musicali (elettronici e acustici) ne sono il tratto distintivo, come ad esempio in questa 'When Water comes to Life' che si apre con una ouverture sinfonica (di stampo decisamente Antonio Vivaldi) e termina, dopo una riflessione toccante sull'amore dei nostri cari passati a miglior vita, in un incedere ritmico crescente di chitarra elettrica e batteria degno del miglior Vin Butler. Fasntasmagorici.